A Vicenza è vietato Kebab. No anche ai negozi di oggetti multiculturali

Redazione
A Vicenza è vietato Kebab. No anche ai negozi di oggetti multiculturali

A Vicenza è vietato Kebab. No anche ai negozi di oggetti multiculturali. La crociata dell’assessore contro il cibo etnico in centro. Nel centro storico di Vicenza sarà vietato il Kebab.

Oltre alle kebabberie, saranno chiusi i negozietti di oggetti etnici, i mercati dell’usato, le lavanderie, i sexy shop e i centri massaggi.

Il severo divieto è partito dall’assessore al Commercio Silvio Giovine, candidato di Fratelli d’Italia alle elezioni regionali.

Niente kebab, siamo vicentini

La motivazione è che a Vicenza non si potranno somministrare più prodotti che non siano riconducibili alla tradizione alimentare locale.

Le proteste del centrosinistra

Contro la proposta di Giovine di cambiare il volto del centro storico vicentino, si è scagliato Sandro Pupillo, consigliere comunale di centrosinistra.

«È come se fossero state propugnate delle leggi razziali nel commercio».

La delibera non è ancora stata approvata in commissione e in consiglio, ma sembrerebbe che Vicenza, amministrata dall’avvocato Francesco Rucco, abbia oramai deciso per la chiusura dei locali etnici.

«Vado fiero e orgoglioso di questo provvedimento — dice l’assessore Giovine — . Per tutelare l’inestimabile valore del nostro patrimonio Unesco alzeremo la qualità dell’offerta commerciale incidendo sulle nuove aperture, prevediamo sanzioni progressive per chi sgarra».

Gli altri negozi che saranno chiusi

Chincaglieria e bigiotteria di bassa qualità, oggettistica etnica, macellerie e pollerie non italiane.

Ma sarà no anche per i supermercati, bar e ristoranti affiliati a grandi catene, fast food e distributori automatici di cibo.

L’idea di tutelare il Made in Italy

Secondo l’assessore le restrizioni serviranno a tutelare il Made in Vicenza. Le crociate nostrane contro il commercio multiculturale.

Una crociata contro i kebabbari e il commercio multiculturale già iniziata da altri comuni, come Genova, Verona e Cittadella.

In principio fu Covo, 4mila abitanti in provincia di Bergamo: nel 2014 la giunta disse no ai negozi che vendevano il tradizionale cibo arabo.

Poi venne Capriate San Gervasio, sempre nella bergamasca

Dalla provincia del profondo nord alla Capitale: nel 2013 l’Assemblea capitolina è intervenuta per disciplinare le attività commerciali nella città storica. Ma nulla a che vedere con i veti di Vicenza.

Alessandro Pallavicini

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