Addio a Cesare Romiti, manager Fiat: 25 anni alla guida dell’azienda

Redazione
Addio a Cesare Romiti, manager Fiat: 25 anni alla guida dell’azienda

Addio a Cesare Romiti, manager Fiat: 25 anni alla guida dell’azienda. È morto l’uomo che ha amministrato la Fiat per 25 anni.

Cesare Romiti, l’uomo scelto dalla famiglia Agnelli per guidare la principale casa automobilistica italiana. E’ stato molto di più di un semplice dirigente d’azienda.

La difficile infanzia di Cesare Romiti

Romiti nasce a Roma nel ’23 in una famiglia di umili origini. Il padre, Camillo, impiegato alle Poste, muore nel ’41. Mentre la madre, che non lavorava, cresce tre figli con la sola pensione da vedova.

“Un giorno arrivò la voce che in stazione c’era un treno abbandonato carico di farina. Corsi più veloce che potei, da san Giovanni alla Tiburtina. Era vero. La farina che portai a casa fu accolta come manna. Per vivere ho fatto ogni sorta di lavoro, anche i più umili”.

Racconterà Romiti che non ha mai mostrato rimpianto per quel periodo della sua vita. “Ero pieno di progetti. Ero indeciso fra tre idee. Il primo sogno era quello di fare il segretario comunale in un paese piccolissimo, il più piccolo possibile.”

“Il secondo di fare il direttore d’orchestra. In realtà non sapevo molto di musica ma mi affascinava questa figura con la bacchetta che riesce a dirigere tanti uomini. Il terzo era fare il farista. Guardiano del faro. Vado matto per i fari. Ecco, questi erano i sogni. Non son riuscito a realizzarne uno”, confesserà parecchi anni più tardi.

La carriera ‘pre-Fiat’ e l’incontro con Enrico Cuccia

Dopo la laurea in Scienze Economiche e Commerciali lavora prima come impiegato di banca e, poi, viene assunto dalla Bombrini Parodi Delfino, una società di Colleferro, in provincia di Roma di cui diventa direttore generale.

Qui, nel 1968, si occupa della fusione di questa azienda attiva nel settore chimico-tessile con la Snia Viscosa e assume l’incarico di direttore generale finanziario della nuova società. In questa occasione conosce Enrico Cuccia che lo aiuterà a entrare nel gotha della finanza italiana.

Romiti lo descriverà come un: “personaggio affascinante. Unico. Apertissimo. Un azionista antifascista che aveva la moglie che si chiamava Idea Socialista e una cognata di nome Vittoria Proletaria.”

“Un uomo intellettualmente interessato a tutto, che trattava coi grandi della finanza ma era pieno anche di amici di sinistra”. Nei primi anni ’70 arriva la nomina ad amministratore delegato dell’Alitalia da parte dell’Iri.

I 25 anni di Romiti alla Fiat

Nel 1974 entra in Fiat e due anni dopo ne diventa amministratore delegato insieme a Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti. Con il quale Romiti non ebbe mai un buon rapporto tanto che, dopo soli tre mesi, l’ingegnere se ne andò.

“Quando entrò al Lingotto pensò di poterla fare da padrone assoluto. In cento giorni voleva cambiare tutto, comandare. Ma mi accorsi che certe sue operazioni non mi convincevano”, rivelerà Romiti.

Sono “gli anni di piombo” in cui chi lavorava in Fiat rischiava di essere gambizzato. E i conflitti con i sindacati erano all’ordine del giorno ma, sotto la sua guida, la Fiat cresce sia a livello nazionale sia a livello internazionale.

Nel 1980 Gianni e Umberto Agnelli lasciano a Romiti tutta la responsabilità operativa dell’azienda che, in seguito, ammetterà: “In Fiat ho avuto praticamente carta bianca per venticinque anni”.

Nello stesso anno lo stabilimento di Mirafiori subisce uno stop di 35 giorni di scioperi che si interrompe solo dopo la cosiddetta “marcia dei 40mila”. Ossia quella dei colletti bianchi che costringono i sindacati a chiudere la vertenza.

Gli anni ’80 sono contrassegnati da un grande sviluppo economico sia per l’Italia sia per la Fiat dove Romiti instaura un ottimo rapporto con ‘l’ Avvocato’. “Quando ho lavorato con Giovanni Agnelli – ricorderà Romiti – non ci siamo mai dati del tu, in tutti i 25 anni e ci vedevamo praticamente tutti i giorni.”

“Un giorno ce lo siamo detti. In Fiat tutti si davano del lei era anomalo darsi del tu, a Torino. Mi disse ‘veda Romiti, lei se ne è accorto che continuiamo a darci del lei, io penso che sia più intimo e affettuoso del tu’. Volevo bene ad Agnelli, eravamo amici ma non ce lo siamo mai detti”.

Con lo scoppio di Tangentopoli anche Romiti finisce nel tritacarne della magistratura proprio nel biennio (’96-’98) in cui assume la presidenza della Fiat. “Quando i giudici di Torino vollero indagare anche loro” su Tangentopoli, “erano un po’ invidiosi dei risultati raggiunti perché i giudici di Milano erano arrivati prima”, dirà Romiti con una punta di malizia.

E aggiungerà

“L’episodio dell’accusa di Tangentopoli per me si è risolto con assoluzione completa. Io sono stato processato a Torino, perché avevo collaborato con i giudici di Milano che erano i più famosi, come Di Pietro, Borrelli e Davigo”.

Gli ultimi anni di vita

Nel ’98 lascia la Fiat ricevendo una liquidazione da 196 miliardi di lire e rifiuta l’offerta di Berlusconi di lavorare per le sue aziende. Nel libro-intervista, Storia segreta del capitalismo italiano, scritto da Paolo Madron, Romiti spiega così il suo no al Cavaliere.

“Non credo che con un padrone accentratore come Berlusconi avrei avuto grandi margini di manovra”. Romiti, poi, come liquidazione, chiede ad Agnelli la possibilità di acquistare una quota della società finanziaria Gemina che controllava Rizzoli-Corriere della Sera.

E, in seguito, nel biennio 2005-2007 assume la presidenza della società di costruzioni Impregilo. Romiti, dopo il suo addio ha sempre evitato di parlare della Fiat.

“Non è più un’azienda italiana”, si limiterà a contestare la scelta di nominare soltanto dirigenti stranieri per il dopo Marchionne. Fonte IlGiornale

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