Brindisi: protesta dei migranti, un morto e un ferito
Brindisi: protesta dei migranti, un morto e un ferito. Tragico bilancio durante una forte protesta di migranti nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Restinco-Brindisi. Una persona è morta e un’altra è rimasta ferita nell’incendio appiccato da un migrante
La conferma arriva dalla Polizia, secondo la quale un ospite della struttura avrebbe appiccato il rogo e un altro migrante è morto intossicato dal fumo mentre dormiva.
A causare l’incendio sarebbe stato un uomo originario del Gambia, come forma di protesta. La vittima sarebbe un marocchino e avrebbe poco meno di 40 anni. Le fiamme sarebbero partite da un materasso e si sarebbero propagate poi in altri locali.
L’incendio ha sprigionato molto fumo che ha intossicato il migrante, che ha perso la vita. La persona rimasta ferita è stata medicata in ospedale ed è stata successivamente dimessa.
Quanti sono i Centri di permanenza in Italia
I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) sono strutture pensate e realizzate per trattenere gli immigrati irregolari in attesa di espulsione. Attualmente in Italia ce ne sono dieci e e si trovano a Torino (C.so Brunelleschi), Milano (Via Corelli), Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Ponte Galeria (Roma).
Palazzo San Gervasio (Potenza), Macomer (Nuoro), Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago. Gli Hotspot sono 4 e i Centri di Prima Accoglienza (CPA) sono 8.
Come ricorda Melting Pot Europa, i CPR “sono strutture detentive dove vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di regolare titolo di soggiorno”, dunque non autori di reati.
Gli “ospiti” sono sottoposti a regime di privazione della libertà personale e sono “individui che hanno violato una disposizione amministrativa, come quella del necessario possesso di permesso di soggiorno.
Melting Pot: “Nei CPR quotidiane violazioni e abusi”
“Nonostante i cittadini stranieri si trovino all’interno dei CPR con lo status di trattenuti o ospiti, la loro permanenza nella struttura corrisponde di fatto ad una detenzione, in quanto sono privati della libertà personale e sono sottoposti ad un regime di coercizione che, tra le altre cose, impedisce loro di ricevere visite e di far valere il fondamentale diritto alla difesa legale”.
E ancora: “Le continue rivolte, le morti, gli atti di autolesionismo, i suicidi, le quotidiane vessazioni e abusi, tutte ampiamente documentate dal Garante delle persone private della libertà, da associazioni e attivisti in numerosi report e pubblicazioni, confermano che i CPR risultano del tutto inadeguati.
Sia dal punto di vista strutturale che funzionale, a garantire il rispetto dei diritti fondamentali ed inutilmente dispendiosi (costo complessivo di gestione privata nel periodo 2018-2021: 44 milioni di euro)”.