Bruno Vespa: rivelazione su Sergio Zavoli

Redazione
Bruno Vespa: rivelazione su Sergio Zavoli

Bruno Vespa: rivelazione su Sergio Zavoli. Il giornalista, conduttore e saggista ricorda la figura del collega scomparso a 96 anni. E di quando la tv narrava l’Italia seguendo i suoi tempi: “Ricordo un servizio sui manicomi, mamma mia, prima che cominciasse c’era un piano sequenza che ti toglieva il fiato. Erano racconti d’autore”

Bruno Vespa, così come riportato da Repubblica,  su Twitter definisce Sergio Zavoli “il più grande giornalista radiotelevisivo di sempre”. “Lo è stato, è riuscito a passare da un argomento all’altro con profondità: sapeva raccontare”.

Vespa, è questa la lezione di Zavoli?

“Sicuramente. Io non ho mai potuto lavorare con lui perché c’era una gelosia fortissima tra Sergio e il grande Biagione Agnes. Guai fare la rampa di scale dal terzo al quarto piano.”

“Ma posso dire di aver imparato a fare questo lavoro guardando i servizi di Zavoli. Ma ancora prima del suo lavoro televisivo, che ha lasciato il segno, penso alla potenza del documentario radiofonico Clausura: con la sua voce leggendaria ti conduceva nei luoghi”.

Se dovesse dire una sua caratteristica?

“Aveva una capacità narrativa fuori dal comune. Con Il processo alla tappa, molto prima che ci conoscessimo, portò il ciclismo a un livello letterario.

“Era davvero un narratore fantastico. Ero appena entrato in Rai, nel 1968 e ricordo le cronache del terremoto in Sicilia, lui raccolse testimonianze straordinarie, aveva una capacità di far commuovere le persone. Siamo stati legati da amicizia da stima, preso da lui il testimone del premio Guidarello per il giornalismo d’autore”.

Come giudica il suo impegno come presidente della Rai?

“Ottimo. I due grandi concorrenti, non a caso, diventarono presidente e direttore generale della Rai. Il tandem Zavoli-Agnes in quegli anni è stato formidabile. Quando l’azienda è in mano a persone che la conosco fino nel midollo, parli la stessa lingua”. Leggi anche qui

Citava prima Il processo alla tappa ma con La notte della Repubblica sul terrorismo, Zavoli ha raccontato l’Italia degli anni di piombo. “È stato l’unico a intervistare tutti i terroristi, a fare un affresco memorabile di quegli anni. Parliamoci chiaro, un conto è scrivere un libro, un altro portare i protagonisti davanti alle telecamere a rispondere. Lui ci riuscì: resta un documento storico prezioso”.

Pensa che l’amicizia con Federico Fellini lo abbia influenzato?

“Le amicizie a quei livelli sono formative: si dà e si riceve. Certo, penso che ci sia stato uno scambio”.   Oggi il giornalismo televisivo è rapido, conta la velocità. Zavoli si prendeva i suoi tempi, anche lenti, per raccontare. “C’è un certo rimpianto per la lentezza, per i piani sequenza. Ricordo un servizio sui manicomi, mamma mia, prima che cominciasse c’era un piano sequenza che ti toglieva il fiato. Erano racconti d’autore.”

“Sarebbe benedetto il ritorno a quelle inquadrature, oggi conta la velocità. Io che mi sono formato con quella generazione di maestri, con quei tempi, facevo servizi di tre minuti, tre minuti e mezzo, che oggi nei telegiornali sono impensabili. “Erano dei piccoli Tv7, che ha fatto scuola. Chiedevo sempre di lavorare, se non con i montatori, che era impossibile, con gli operatori. Erano straordinari”.

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