Diciotto pescatori siciliani prigionieri in Libia: “Portateli a casa per Natale”

Redazione
Diciotto pescatori siciliani prigionieri in Libia: “Portateli a casa per Natale”

Diciotto pescatori siciliani prigionieri in Libia: “Portateli a casa per Natale”. Mazara del Vallo da 91 giorni ci sono diciotto famiglie in attesa. Il tempo sembra sospeso da quando, la notte tra l’1 e il 2 settembre, i pescherecci  Medinea e Antartide sono stati sequestrati e portati a Bengasi con a bordo i loro equipaggi.

Fermati a 40 miglia dalle coste africane dalle milizie del generale Haftar, che in Libia controlla una parte del territorio, prima di essere trasferiti in carcere con l’accusa di aver invaso le acque territoriali libiche.

Nella città della provincia di Trapani, in cui ogni famiglia ha almeno un parente pescatore, ci sono madri che aspettano i propri figli e mogli che sperano in un rientro a casa dei propri mariti.

Almeno per le festività natalizie. In attesa che qualcuno dia delle buone notizie, hanno deciso di occupare pacificamente l’aula consiliare del comune. Sono stanchi e si sentono abbandonati.

Le giornate trascorrono tutte uguali, sperando in una svolta diplomatica che permetta ai loro cari di tornare a casa e trascorrere il Natale in famiglia.

Perché nessuno parla dei pescatori italiani sequestrati in Libia?

La notizia è grave quanto poco nitida. Diciotto pescatori siciliani, originari di Mazara del Vallo, sono stati sequestrati da dei predoni libici mentre pescavano in acque internazionali.

Dal 1 settembre scorso, sono tenuti prigionieri non si sa dove e con l’accusa di esser stati trovati in possesso di droga. La fazione libica interessata sembra essere quella del generale Haftar.

Egli ha fatto sapere all’Italia che i diciotto pescatori saranno rilasciati solo se l’Italia, a sua volta, scarcererà quattro scafisti libici. Questi sono accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di omicidio doloso plurimo per la morte di una cinquantina di immigrati.

La scusa della droga

La peggior feccia, dunque, che Haftar e i loro famigliari insistono a pretendere liberata. Già, perché sono comparse in video anche le facce di tolla dei famigliari dei quattro scafisti, i quali hanno rivendicato il diritto dei loro ragazzi ad inseguire il sogno di una vita migliore in Europa.

Nel frattempo, i tribunali italiani li hanno già condannati per i reati gravi di cui sopra. Ma tant’è, e ad ognuno i suoi genitori. Da qui, una prima riflessione.

Se le autorità (si fa per dire) libiche della parte di Haftar avessero realmente certificato i reati di cui sono accusati i nostri pescatori, evidentemente non proporrebbero uno scambio in virtù del quali essi tornerebbero liberi.

Insomma, se quella droga fosse stata davvero trovata e fosse stato portato a termine un processo regolare composto dagli eventuali appelli, ognuno si terrebbe i suoi delinquenti e festa finita.

Uno scambio iniquo

Dunque, lo scambio proposto ha per oggetto, da una parte degli innocenti, e dall’altra dei criminali della peggior specie. Non è alla pari, non lo sarebbe neanche se il governo italiano intendesse scendere a patti con quella feccia.

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