E’ morto Pepi Merisio: addio al fotografo di papa Paolo VI

Redazione
E’ morto Pepi Merisio: addio al fotografo di papa Paolo VI

E’ morto Pepi Merisio: addio al fotografo di papa Paolo VI. È morto Pepi Merisio: il celebre fotografo è scomparso all’età di novant’anni nella notte di mercoledì 2 febbraio. Merisio è deceduto all’ospedale di Bergamo, la sua città.

Tra i fotografi più importanti del Novecento italiano, Pepi Merisio è conosciuto per essere stato “il fotografo del papa”. Nel 1964 regala al grande pubblico alcune fotografie private di papa Paolo VI immortalato nei giardini privati del Vaticano.

Il fotografo di papa Paolo VI

Il lavoro, commissionato dalla rivista “Epoca” con la quale Merisio collabora per diverso tempo, fu il risultato di una lunga trattativa con la Santa Sede: restituire al mondo l’immagine di un pontefice più “umano”.

Proprio quel servizio gli regala una lunga e duratura amicizia con il Santo Padre Paolo VI. Rapporto che gli consentirà, in seguito, di seguirlo in altri momenti privati. Dalle celebrazioni religiose e civili ai viaggi pastorali.

La carriera di Pepi Merisio

Pepi Merisio nasce nel 1931 a Caravaggio, in provincia di Bergamo. Fin da subito la sua terra diventa scenario perfetto per molte delle sue opere. Tra questa “Terra di Bergamo” in cui il fotografo immortale i paesaggi e la natura del suo territorio.

A consegnarlo alla scena internazionale è “In morte dello zio Angelo” del 1963 che gli vale il Premio Fermo e la pubblicazione sulla rivista tedesca Du. Oltre alla rivista Epoca, Merisio collabora con molti giornali internazionali.

Tra questi: Camera, Paris Match, Camera, Look. Negli anni il fotografo costruisce un archivio fotografico che conta oltre 252mila diapositive, 165mila negativi su pellicola e 154mila stampa. Un archivio monumentale che è da poco donato al Museo delle Storie di Bergamo.

Pedofilia: condannato a 19 anni, ‘malvagio e disumano’

Una “personalità” estremamente “negativa”, “caratterizzata da tratti di malvagità ed assenza di scrupoli”, tesa “costantemente” al “soddisfacimento delle proprie pulsioni sessuali” e “priva di qualsivoglia spirito di umanità nei confronti della sofferenza delle ragazzine di cui aveva abusato”.

E’ così che i giudici del Tribunale di Lodi descrivono, nelle motivazioni della sentenza, l’uomo di 48 anni condannato lo scorso ottobre a 19 anni di carcere, la pena più alta in Italia per un pedofilo.

Il 48enne, come emerso nelle indagini del procuratore aggiunto di Milano Letizia Mannella e del pm Alessia Menegazzo, per “5 anni” si era finto una ragazzina dal nome ‘Giulia la malvagia’ per poter adescare via WhatsApp e poi abusare di minorenni tra gli undici e i tredici anni (tre le vittime).

“Emblematiche”, scrivono i giudici (Giuseppe Pighi, Sara Faldini e Ivonne Calderon), erano le “frequenti richieste di aiuto” delle ragazzine “davanti ai supposti malefici” di cui lui le minacciava, prospettando, poi, “come risposta” altri “nuovi e perversi atti sessuali spacciati come interventi di soccorso”.

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