E se la smettessimo con l’arroganza e usassimo la gentilezza?

Redazione
E se la smettessimo con l’arroganza e usassimo la gentilezza?

E se la smettessimo con l’arroganza e usassimo la gentilezza? Carissime e carissimi, sono consapevole che io stesso utilizzo spesso toni forti, ma è la rabbia che provo davanti alle ingiustizie.

La rabbia che provo nel leggere ogni volta l’incitamento all’autoritarismo, persino alla violenza (non mancano mai commenti del tipo “prendeteli a calci, questi irresponsabili”), a fare multe per chi non segue queste misure.

Misure che soltanto in Italia sono state prese, violando vari punti della Costituzione, sopprimendo i nostri diritti e libertà naturali. Misure che, tra l’altro, non hanno avuto alcuna efficacia.

Ma si sa: è il nostro mondo alla rovescia che ha creato la mentalità secondo la quale, se qualcosa non funziona, la si ripropone e si fa peggio, perché per il sistema è sempre meglio usare la forza e l’arroganza piuttosto che ammettere i propri errori.

I toni del contro

Ma non è tanto di questo che voglio discutere. Voglio parlare piuttosto dei toni che ogni volta utilizziamo mettendoci gli uni contro gli altri (pro mask contro no mask, vaccinisti contro antivaccinisti e così via).

E perché cosa? Per delle idee che, in quanto idee, non sono verità assoluta e potrebbero essere sbagliate. Né io né voi, né le autorità né medici e scienziati hanno la verità assoluta in tasca ed è per questo che bisognerebbe smetterla di arrogarsi il diritto di imporla agli altri.

So che, tra i pochi che leggeranno, ce ne saranno ancora di meno a essere d’accordo con me. Ma ci provo, come sempre.

Leggo di intellettuali, giornalisti, professori, dirigenti scolastici e comuni cittadini che si permettono di definire “imbecilli” coloro che non condividono le regole del governo; leggo di gente che osa fare la paternale agli altri accusandoli di “irresponsabilità”.

Ma che cos’è l’irresponsabilità?

Non indossare mascherine? Andare a passeggiare da soli o con gli amici? Darsi la mano? Abbracciarsi? Fare l’amore? Andare a correre? Prendere un caffè al bar? Non rispettare la distanza di un metro? Uscire di casa e andare dove ci pare?

Cioè fare tutto ciò che fanno gli esseri umani? Vivere? Pare che tutto questo che il governo ci ha vietato, secondo molti altri esperti faccia bene (anche se la Natura ne sa molto di più degli scienziati stessi).

In questo modo rischieremo di abituarci a questo stile di vita, soffrendone e senza capire il motivo del nostro malessere, fino a che un giorno diremo che “se ognuno uscisse quando vuole, nel mondo ci sarebbe un caos”.

Anche le mie idee potrebbero non essere verità assoluta, così come potrebbero essere la verità: ancora una volta, dunque, proprio per questo nessuno dovrebbe vietare né obbligare niente a nessuno.

Eviterò la solita retorica che ci fa dubitare dell’efficacia di queste misure le quali sembrano valere solo per le attività di svago e non quando si tratta di lavorare, andare a scuola e al supermercato, come se il virus fosse il nuovo diavolo che punisce chi commette “peccati”.

Ma ditemi dove sarebbe questa irresponsabilità?

Vedo tutti mascherati al punto che se qualcuno mi saluta, devo prima fissarlo per alcuni secondi e aspettare che si presenti. Vedo gente terrorizzata dal contatto umano che, anziché stringermi la mano, mi porge quel saluto ridicolo col gomito.

Saluto che si sta diffondendo ultimamente e soprattutto vedo strade desolate (e non credo sia soltanto perché siamo in pieno inverno). E anche se fosse vero che la gente non rispetta le regole, siamo sicuri che sia questa l’irresponsabilità?

Gli irresponsabili

Strano, perché io ritengo irresponsabile (e “responsabile” di tutto il male del mondo) chi ha distrutto la sanità, chi con arroganza ha imposto dei protocolli sbagliati ai medici.

Ritengo irresponsabili quei medici che hanno sbagliato le diagnosi e le cure (per carità, purtroppo capita, ma non prendetevela con noi). Irresponsabile è chi distrugge la Natura per profitto e ci condiziona (o ci incoraggia) a condurre questo stile di vita tossico e stressante, a respirare aria inquinata, a mangiare cibi avvelenati che ci fanno ammalare e ci uccidono.

Ritengo irresponsabile chi utilizza l’automobile per percorrere le stesse strade che io percorro a piedi ogni giorno, che continua a inquinare l’aria e mettendo in pericolo la vita di tutti o, banalmente, chi fuma mentre ha intorno altre persone.

Ma soprattutto ritengo irresponsabile chi, per buona o cattiva fede, impone agli altri le proprie idee con l’arroganza, con la forza, con la violenza. E potrei fare tanti altri esempi su quello che voi chiamate “bene comune” e “responsabilità”.

Troppo comodo dare la colpa a un virus e/o a chi non segue le regole (che non possono essere mai giuste per tutti), mentre si continua a condurre una vita tossica e peggiore di quella di prima.

Si pensasse piuttosto a curare gli ammalati anziché togliere la libertà ai sani (difatti queste regole hanno debellato la nostra libertà, non di certo le malattie o il virus).

Gli uni contro gli altri

Eppure il sistema riesce sempre a metterci gli uni contro gli altri, riesce sempre a farci credere che noi cittadini siamo quei bambini irresponsabili e stupidi da educare e punire e che loro siano i maggiorenni che conoscono il bene e il male e debbano imporci le proprie idee.

Loro invece non sono mai colpevoli di nulla. Al massimo se la prendono con “i governi precedenti”.

È vero che io mi sono più volte dichiarato – e mi dichiaro – anarchico e che sono considerato (anche dagli anarchici stessi) un estremista della libertà, ma voi che vi dichiarate democratici, avete giustificato la sospensione della democrazia.

Uno stato di emergenza si può dichiarare soltanto in guerra. Siete arrivati addirittura a dire che in estate ci sono state troppe concessioni!

E quanto a chi sostiene che a noi italiani servano i dikat perché non siamo capaci di seguire le regole (sempre ammesso che sia vero, perché a me sembra il contrario), si chieda se le regole sono giuste.

Si chieda se il fatto stesso che non si riesce a seguirle non significhi proprio che sono sbagliate: del resto, a deciderle sono esseri umani (privilegiati), non sono certo le tavole di Mosé date da Dio.

Le regole non sono verità rivelate

Precisiamo: io sono anche ateo, ma spero di essere stato chiaro nell’esempio. Voglio dire che le regole non sono verità rivelate, ma soltanto frutto di idee. Ed è questo che bisognerebbe che si ricordassero sia i comuni cittadini, sia le istituzioni.

In tempi normali, queste paure che dilagano sarebbero state considerate alla stregua di malattie mentali (avrei da ridire anche su questa orribile definizione, ma ci saranno altre occasioni) o comunque semplici fobie irrazionali.

Certo, le fobie altrui vanno rispettate, perciò se una persona che ci sta accanto ha paura del contatto, potremmo senza problemi indossare la mascherina, usare il distanziamento ed evitare di darle la mano.

Un po’ come quando una minoranza di persone aveva la fobia dei germi o come chi ci faceva togliere le scarpe per entrare in casa sua. Faccio un esempio: se qualcuno ha paura degli insetti, non vado a mostrargli i ragni per spaventarlo. Ma non può pretendere che io non vada in montagna perché ci sono i ragni (al massimo può darmi consigli).

Se una persona ha paura degli “assembramenti” perché crede alla teoria del contagio, può semplicemente starne lontano. Ma l’imposizione no. L’imposizione è basata sull’arroganza, sulla presunzione di conoscere la sola unica verità.

Ma non esistono verità oggettive, compresa la teoria del contagio (confutata già nell’Ottocento) sia tra sintomatici che tra asintomatici. Anche la scienza medica sbaglia, essendo solo frutto di idee (spesso contrastanti) e non di verità rivelata.

Ecco perché l’imposizione, anche quando è rivolta al “bene” (o ciò che alcuni considerano tale), è SEMPRE sbagliata, sia che provenga da un’autorità sia che provenga da un cittadino comune. Perciò si faccia un passo indietro, cerchiamo di essere più umili.

Usiamo la gentilezza e rispettiamo le libertà individuali, a cominciare da quella di pensiero, di parola e poi di azione.

Domenico J. Esposito, scrittore

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