Francesca Romana D’Antuono, Volt Europa: “Scommetto che…”

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Francesca Romana D’Antuono, Volt Europa: “Scommetto che…”
Francesca Romana D’Antuono

Francesca Romana D’Antuono, presidente di Volt Europa: “Scommetto che…” Francesca Romana D’Antuono, presidente di Volt Europa insieme a Reineir Van Lanscho, rilascia per l’Inserto una lunga intervista in esclusiva, affrontando tematiche importanti.

E’ giovane e donna, Francesca Romana D’Antuono è una politica europea nata in Italia e residente a Berlino. Ha lavorato nel campo del marketing internazionale per alcune multinazionali farmaceutiche ed a Ottobre 2021 è stata eletta alla presidenza di Volt Europa.

1) Si avvicina il 25 settembre, gli italiani sono pronti a decidere chi votare?

Di sicuro non tutte e non tutti visto che queste elezioni registreranno un ulteriore aumento dell’astensionismo. Una stima ottenuta dalla commissione di studio promossa dal dipartimento per le riforme istituzionali prevede che per ogni 10 aventi diritto, tra le 3 e le 4 persone decideranno di non andare a votare.

Questo è un trend che riguarda tanti altri Paesi Europei. Il dato che a me fa più arrabbiare però, se devo essere sincera, è quello delle persone che non andranno a votare per “cause di forza maggiore” come descritto nello stesso studio.

Penso agli studenti o lavoratori che vivono fuori sede. Quelli che non necessariamente hanno risorse economiche per viaggiare, visti i costi talvolta ingenti per affrontare il viaggio, specialmente da e per le isole.

Poi ci sono italiani ed italiane che magari sono pronte a votare ma che non ne hanno diritto. Persone che vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia, magari ci sono anche nate, eppure non essendo cittadine, non possono esprimere la propria preferenza.

Infine ci sono le persone con disabilità psichica, motoria o sensoriale – che la legge tutela sulla carta ma che spesso incontrano barriere architettoniche importanti e quindi semplicemente rinunciano al voto.

Scommetto che anche i sondaggi sarebbero diversi se agissimo su queste variabili. Sicuramente le elezioni sarebbero più democratiche.

2) Il programma di Volt investe settori di interesse della collettività, come l’Ambiente, l’Economia, la Società e i diritti, proponendo soluzioni pratiche alle problematiche emergenti. Ma al di là, di tematiche specifiche, Volt come si propone di superare il grande senso di sfiducia della popolazione verso la politica?

Volt si propone di fare politica in maniera diversa. Quindi poniamo un tema di metodo oltre che di merito. Crediamo che la politica sia una cosa seria ma non elitaria, e che la democrazia possa essere tale solo quando partecipata veramente, da tuttə.

Il nostro partito è formato da decine di migliaia di tesseratə (e un numero anche maggiore di volontariə) sparsi per tutto il continente, inclusi alcuni Paesi extra UE come la Svizzera, l’Albania, il Regno Unito e l’Ukraina.

All’interno del partito viviamo e respiriamo la democrazia che vorremmo veder fiorire anche in Europa, dove cittadinə e residenti sono in comunicazione tra di loro oltre i confini, dove vige un principio di solidarietà, e dove le “migliori pratiche” possono essere trasferite da una comunità all’altra.

Che significa questo nella pratica? Due cose. La prima: la Spagna ha adottato una regolamentazione all’avanguardia per quanto riguarda i cosiddetti “rider” – che nel resto d’Europa vivono invece in una situazione di precarietà tale che si parla di nuove forme di schiavitù.

Per noi è stato molto facile studiare la normativa e ipotizzarne la traduzione nel sistema italiano perché siamo costantemente in contatto con Volt Spagna.

Quello dei rider è naturalmente solo un esempio; il punto è che mettendo le nostre intelligenze, conoscenze ed esperienze in comune, possiamo disegnare la società in modo che sia più equa, inclusiva, sostenibile e prospera.

La seconda: l’8 e 9 Ottobre, a Praga, Volt Europa lancerà il più grande esperimento di co-creazione di un programma elettorale che la storia del nostro continente abbia mai visto. Costruiremo insieme il programma per le europee 2024.

Cosa c’entra tutto questo con la sfiducia verso la politica? Le persone vivono il senso di sfiducia perché sentono di non avere voce, di non poter cambiare le cose.

Possono votare – ammessoche non rientrino nelle categorie che menzionavo prima – ma non partecipano davvero delle decisioni. Ecco, noi vogliamo che le persone tornino ad avere una voce, perché le decisioni politiche impattano la vita di tuttə.

3) E’ innegabile che viviamo in un clima di grande “crisi sociale” dove regna un clima di odio verso il diverso: come si potrebbe risolvere (ed evolvere) questa situazione di stallo?

L’aspetto più urgente che io vedo in questo momento, in Italia e in Europa, è l’emergere di una narrativa violenta e carica di odio, spesso basata su inesattezze e notizie false, che anziché costruire ponti, disegna muri.

Quando dico narrativa mi riferisco all’informazione tramite media tradizionali e social media e alla capacità di processare criticamente le informazioni. Faccio un esempio concreto.

Visto quanto e precario il mercato del lavoro in Italia, una persona che lavora tante ore e fa comunque fatica ad arrivare a fine mese, può facilmente cadere nel trucco di chi percepisce il reddito di cittadinanza sia semplicemente svogliato e pigro -soprattutto se questa affermazione proviene da politici che si dichiarano progressisti e competenti.

Eppure questo è, appunto, semplicemente un trucco per creare divisione sociale. Ilproblema delle famiglie che non arrivano a fine mese non lo provoca di certo chi percepisce un sussidio di qualche centinaia di euro, che anzi è un buono strumento per non cadere vittima del ricatto di “lavorare a tutti i costi”

Lo crea invece – tra le altre cose – un sistema di tassazione europeo che non comunica, e che consente ai super ricchi di spostare i propri patrimoni dove non sono soggetti alla redistribuzione.

Secondo un report del 2018 di Oxfam Italia, la ricchezza dei primi 21 miliardari italiani equivale alla ricchezza netta detenuta dal 20% più povero della popolazione. Per mettere in prospettiva, stiamo parlando di 21 persone il cui patrimonio è uguale a quello di 12 milioni di persone. Davvero il problema sono i super-poveri?

Eppure talvolta non c’è nessuna forma di controllo o di controcanto istituzionale a queste narrazioni; i social media sono in balia della febbre del like. Gli Stati uniti l’hanno pagata con l’elezione di Trump nel 2017 e si ritrovano con un Paese che secondo alcuni esperti è vicino alla guerra civile.

L’Ungheria l’ha pagata con la rielezione di Orban, laddove la coalizione che lo ha sfidato nelle ultime elezioni, ha avuto un totale di 6 minuti in televisione durante tutta la campagna elettorale. E noi come pagheremo?

Per me è essenziale creare dei sistemi di comunicazione che siano credibili, riportare le persone al tavolo decisionale, introdurre meccanismi che aumentino la trasparenza, ma anche dare strumenti alle persone per interpretare le informazioni, con investimenti importanti nell’istruzione, per esempio.

Ecco, quello che ha fatto Piero Angela con la scienza io vorrei farlo con la politica. Parlare con le persone trattandole da adulte, fornendo loro i mezzi tramite cui verificare le informazioni, costruire spazi di confronto ricordando che il dubbio è un esercizio legittimo, anzi, sano, a differenza di questa politica che si nutre di certezze urlate.

4) Tra gli ambiti sociali più complessi, spesso dimenticati dalla politica, abbiamo le carceri. Il disinteresse della collettività per la persona che finisce nel circuito stigmatizzante degli istituti di pena determina una percezione di abbandono che può risultare insuperabile.

Nei primi otto mesi del 2022 sono infatti 59 le persone che si sono tolte la vita in carcere: più di una ogni quattro giorni. Qual è la posizione di Volt a riguardo?

Questo tema mi sta molto a cuore perché riceve sempre poca attenzione, a parte qualche generica dichiarazione da parte dei nostri rappresentanti politici ogni tanto.

Eppure stiamo parlando di vite umane, di persone che perdono la propria libertà, ma che non dovrebbero perdere i diritti di base. Naturalmente, anche qui la nostra posizione è stata lavorata a livello europeo e abbiamo individuato due punti cardine.

Il primo: il carcere deve servire a riabilitare, non a punire. Sembra una banalità, ma ad oggi la realtà non è questa, come dimostrano i dati che voi stessi riportate. Ci si toglie la vita quando si perde la speranza.

Vogliamo riaccendere questa speranza e dare ai detenuti e alle detenute i mezzi per ripartire. Questo significa da un lato garantire il rispetto dei diritti umani. Assicurarsi che l’ambiente sia sicuro e igienico, che le persone neurodivergenti abbiamo un trattamento appropriato. Che l’identità di genere e quella sessuale di ciascuno sia rispettata.

E dall’altro istituire percorsi per la riabilitazione. Vogliamo che il carcere fornisca una seconda possibilità, non che apra le porte al suicidio.

Il secondo: educazione alla diversità. Il lavoro di chi ha a che fare con ə detenutə è estremamente delicato. Richiede anche la giusta conoscenza di diverse culture onde evitare incidenti.

Esiste molta letteratura in merito. Noi crediamo che chi decide di intraprendere questo percorso vada tutelatə ed equipaggiatə con i giusti strumenti per interpretare e poter agire in diversi contesti.

Questo avrebbe una ricaduta immediata su detenuti e detenute, che beneficerebbero di personale qualificato che sa come interfacciarsi con loro in maniera efficace. (Altre interviste di Volt)

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