Le crociate – Kingdom of Heaven: la recensione del film

Redazione
Le crociate – Kingdom of Heaven: la recensione del film

Le crociate – Kingdom of Heaven: la recensione del film. Non c’è dubbio: quella di Orlando Bloom come protagonista è una scelta pessima. Un miscasting clamoroso, il peggiore commesso da Ridley Scott in carriera, peggiore perfino della scelta di Noomi Rapace per Prometheus. Che Bloom fosse reduce dello straordinario successo della trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson è una giustificazione solo parziale, e insufficiente.

Possiamo anche obiettare a Scott una lunghezza vagamente eccessiva e qualche estetizzazione di troppo, specie nella prima parte del racconto, e in alcune battaglie. Ma d’altronde, quello che voleva fare Scott era un kolossal, un film vecchia maniera filmato con l’estetica degli anni Duemila, e che qualche cosa gli sia sfuggita di mano, specie dopo aver girato Il Gladiatore e Black Hawk Down, ci può anche stare.

Non c’è dubbio che, a dispetto di una co-produzione tra Regno Unito, Germania e Stati Uniti, Le crociate sia figlio di Hollywood. E della Hollywood più grandiosa e commerciale, con un budget di 130 milioni di dollari.

E allo stesso tempo, non sorprende che Scott i soldi per questo film sia dovuto andarli a cercare anche fuori dagli USA. Né che proprio negli Stati Uniti incassò pochissimo. Perché nel suo essere kolossal nel senso più pieno del termine, e prodotto cinematograficamente mainstream, Le crociate dice e racconta cose di una radicalità che lasciano quasi esterrefatti.

Non dobbiamo dimenticare che nel 2004, quando il film è stato girato, la ferita dell’11 settembre, negli USA e non solo, era ancora apertissima. La contrapposizione tra mondi, culture e religioni era fortissima.

E cosa fanno Monahan e Scott?

Raccontano una storia dove il rango e lo status sociale non contano nulla, col maniscalco di campagna francese che diventa eroico cavaliere difensore di Gerusalemme per poi tornare a fare il maniscalco di campagna in Francia, e dove la Regina interpretata da Eva Green lascia tutto per seguire il suo amore. Dove quelli che dovrebbero essere i più nobili cavalieri, o le guide spirituali, sono spesso e volentieri sono i più infidi o vigliacchi degli esseri umani.

Addirittura, Le crociate si spinge a dire che Gerusalemme, con la sua sovrapposizione di storie e di fedi e santuari e monumenti, è in fin dei conti un simbolo vuoto, la cui difesa non vale quella degli esseri umani che la abitano; un simbolo che vale tutto e niente, cui nessuno ha realmente diritto e tutti hanno uguale diritto.

Che chi compie gesti atroci, violenti o insensati nel nome di qualche Dio, con quel Dio non ha nulla a che vedere. “Ho visto la follia di fanatici di ogni tipo venire chiamata la volontà di Dio. La santità sta nell’agire rettamente e nel coraggio da parte di coloro che non possono difendersi,” dice a Baliano il saggio Cavaliere Ospitaliere di David Thewlis.

Non si salvano le classi sociali, non si salvano le religioni, non si salvano i simboli né tantomeno le giustificazioni che contrappongano civiltà e religioni, in Le crociate.

Tutto è all’insegna della comprensione e dell’accettazione reciproca, nel rifiuto degli estremismi dell’una e dell’altra parte. In Baliano che salva la vita a un saraceno e il saraceno che gli restituirà il favore. Nelle contrattazioni tra il Re di Gerusalemme e Salah ad-Din e tra Salah ad-Din e lo stesso Baliano, nel segno del rispetto e della stima reciproci, in quanto esseri umani che agiscono secondo un codice universale che è quello riassunto nel giuramento fatto pronunciare a Baliano da suo padre prima, e da Baliano agli uomini di Gerusalemme poi: essere giusti, dire il vero, proteggere gli indifesi, non fare torti al prossimo.

Avventura, epica, romanticismo e spettacolo; un discorso di una radicalità insospettabile in un film di questo genere e con questo budget; e i primi piani di Eva Green e dei suoi occhi bistrati. Cos’altro chiedere a un film come Le crociate?

Fonte Comingsoon.i

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