“Mi chiamavano Cazzolina e diventavo triste”, parola di Lucia Azzolina

Redazione
“Mi chiamavano Cazzolina e diventavo triste”, parola di Lucia Azzolina

“Mi chiamavano Cazzolina e diventavo triste”, parola di Lucia Azzolina. Il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina ha deciso di raccontarsi come difficilmente fa di solito un rappresentante delle istituzioni nella sua posizione e per farlo ha scelto l’inserto del Venerdì di Repubblica.

Dalle prese in giro per il suo cognome fino al motivo per il quale non appare mai in pubblico senza il suo immancabile rossetto rosso, la titolare del dicastero della scuola ha svelato alcuni lati sconosciuti della sua personalità.

Era necessario? Forse no, ma tant’è. Lucia Azzolina ne ha sentito l’esigenza e probabilmente si tratta di una nuova strategia di comunicazione con la quale il ministro vuole iniziare una nuova “operazione simpatia” sull’elettorato dopo aver perso moltissimi punti di consenso per la gestione della scuola durante questa epidemia.

Il ministro dal rossetto rosso

È meglio essere ricordata come il ministro dei banchi a rotelle o come ministro dal rossetto rosso? Vista la piega presa dall’intervista al Venerdì di Repubblica, probabilmente Lucia Azzolina preferisce questa seconda ipotesi.

Ed è così che chiacchierando con Francesco Merlo, la Azzolina sbottona la chiusura dei suoi segreti e si lascia andare a un ricordo liceale: “Già al liceo mi chiamavano Cazzolina, e ne ridevo, e ora, per aiutarli a ridere, mi tingo le labbra ancora di più”.

Una rivelazione choc da parte del ministro dell’Istruzione, le cui labbra tinte di rosso sono spesso diventate il tratto peculiare delle caricature e delle imitazioni.

La Azzolina sta con gli studenti. “Le scuole devono riaprire”

Un rosso dalle mille sfumature quello di Lucia Azzolina, un colore dai molti significati poltici e non per il ministro, che al Venerdì di Repubblica rivela anche il titolo di uno dei suoi libri preferiti: Manifesto del partito comunista di Marx e Engels.

Rosso nel rosso, per lei, che però non ama associare il colore del suo rossetto a quello ormai identificato come simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. “Non sono femminista militante.

Anche se, quando ho letto le volgarità sessiste contro di me, una forte tentazione mi è venuta”, ha affermato. Un rosso che, però, non si lega nemmeno a un discorso religioso, essendo lei lontana dai dettami della fede, qualunque essa sia.

Amo questo Papa

“Amo moltissimo questo Papa, e tengo sul tavolo, come guida morale, le opere di don Milani, ma non sono credente, sono agnostica”. Non c’è il femminismo e non c’è la fede, ma c’è Bella ciao nel rossetto di Lucia Azzolina, una canzone “che è fantastica perché è la canzone della liberazione e non del comunismo”.

Una rilettura personalissima da parte sua, una sponda e un endorsement alla proposta del Pd di affiancare questo canto all’Inno di Mameli. È rosso anche il divano nel suo ufficio al ministero, l’unico arredo che ha chiesto per schiacciare un pisolino ogni tanto.

Tra una parentesi nostalgica per i tramonti della sua Sicilia, ovviamente rossi, il mare e il senso di solitudine provato quando si è trasferita a Biella, dove ha imparato a preparare gli arancini al pistacchio, Lucia Azzolina vola con la fantasia.

E racconta al giornalista quella che sarebbe potuta diventare la “riforma Azzolina” se non ci fosse stato il Covid. Ma è stato solo un rapido passaggio prima di riaprire il Libro cuore e raccontare della sua infanzia, quando “a casa non c’erano libri e dunque, in questo senso, sono nata poverissima.

Mio padre, Vito, è un agente di polizia penitenziaria in pensione. Mia madre, Antonella, è casalinga. Mia sorella Rossana nacque quando avevo sei anni. Insomma in famiglia era dura far bastare uno stipendio che non arrivava a 1.800 euro”.

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