Milano: direttore generale Pio Albergo Trivulzio indagato per epidemia e omicidio colposi

Redazione
Milano: direttore generale Pio Albergo Trivulzio indagato per epidemia e omicidio colposi

Giuseppe Calicchio, direttore generale del Pio Albergo Trivulzio, uno dei più famosi centri di assistenza sanitaria per anziani di Milano, è indagato dalla procura di Milano per le ipotesi di reato di epidemia colposa e omicidio colposo.

Nei giorni scorsi il Pio Albergo Trivulzio era finito al centro di diverse inchieste giornalistiche relative alla gestione dell’emergenza provocata dal coronvirus – gestione che secondo diverse testimonianze era stata piuttosto confusa. L’indagine ha l’obiettivo di verificare soprattutto eventuali carenze nei protocolli interni e dei dispositivi di sicurezza, come le mascherine.

Negli ultimi giorni diversi quotidiani si sono occupati della gestione dell’epidemia da coronavirus al Pio Albergo Trivulzio,si sostiene che nelle scorse settimane ci siano state diverse decine di morti riconducibili al coronavirus mai registrate ufficialmente come tali. Secondo diverse ricostruzioni, le morti e più in generale la diffusione del contagio vanno attribuiti a una gestione piuttosto confusa dell’emergenza da parte dei dirigenti dell’ospedale.

La storia del Trivulzio si inserisce nella cornice più ampia nell’aumento dei morti nelle case di riposo (RSA) della Lombardia, attribuiti ufficiosamente al coronavirus ma fuori dai conteggi della Protezione Civile. Il sospetto è condiviso da alcuni operatori e delegati sindacali che hanno sottolineato come «All’inizio della vicenda gli operatori del Trivulzio siano stati mandati allo sbaraglio».

Verso la fine di febbraio i casi di coronavirus individuati in Italia erano ancora poche decine. Eppure il Trivulzio – fondato nel 1766, che ospita sia una RSA sia alcuni reparti di riabilitazione – si trova a soli cinquanta chilometri da Codogno, il primo focolaio italiano, e come tutti i centri che ospitano anziani e malati era in una condizione particolarmente vulnerabile.

Senza le adeguate protezioni, gli operatori sanitari avrebbero potuto contrarre il virus all’esterno e infettare i pazienti con cui entravano a contatto, oppure trasportare il virus dai pazienti infettati a quelli sani. È esattamente quello che in molti sospettano sia accaduto.

Uno dei medici che per primo chiese che gli operatori del Trivulzio indossassero le mascherine protettive è stato Luigi Bergamaschini, un geriatra che insegna all’università Statale di Milano e da alcuni anni collabora col Trivulzio. «Bergamaschini ci aveva visto lungo», ha raccontato Delcuratolo, e aveva autorizzato l’uso delle mascherine agli operatori del suo reparto, fra i più esposti di tutta la struttura: il pronto soccorso geriatrico.

Una settimana dopo la sua decisione, però, Bergamaschini era stato convocato dalla direzione e sospeso dal suo incarico: «Il direttore generale Calicchio era montato su tutte le furie perché facevo indossare le mascherine», ha raccontato giorni dopo Bergamaschini a Repubblica. Il Trivulzio aveva spiegato invece di volerlo tutelare per via della sua età (Bergamaschini ha 70 anni).

Diverse testimonianze fanno pensare però che quello di Bergamaschini non fosse un caso isolato. Negli stessi giorni in cui veniva sospeso dal suo incarico, ha raccontato Delcuratolo, le poche mascherine disponibili «venivano nascoste chiuse a chiave dai capisala», mentre «chi le portava da casa veniva minacciato di provvedimento disciplinare». Le poche disponibili venivano utilizzate in maniera occasionale e in pochissimi reparti, cosa che di fatto le rendeva inutili.

Nel frattempo Bergamaschini era stato reintegrato, ma la situazione era diventata pubblicamente preoccupante. Non è chiaro né quando sia stato registrato il primo caso ufficiale nella struttura né quale sia stato lo sviluppo del contagio, ma un articolo del Corriere della Sera del 23 marzo parlava già di «decine e decine di infettati distribuiti in quasi tutti i reparti e i padiglioni», in cui il coronavirus si era diffuso «pesantemente».

Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo «la mascherina ce l’avevano tutti», ricorda un po’ amaramente Delcuratolo (in una nota stampa pubblicata il 5 aprile, il Trivulzio si è difeso spiegando che «per quanto riguarda l’uso dei dispositivi di protezione individuale si è attenuto e si attiene alle disposizioni di Regione Lombardia e dell’Agenzia di Tutela della Salute)».

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