Roma, disordini e scontri alla manifestazione anti-coprifuoco
Roma, disordini e scontri alla manifestazione anti-coprifuoco. Qualche centinaio di persone che ha partecipato la corteo anti-coprifuoco ha messo a ferro e fuoco il centro storico di Roma.
Da Piazza del popolo fino a piazzale Flaminio e lungotevere delle Navi con fumogeni e lanci di petardi.
Due gli agenti del Reparto mobile rimasti feriti negli scontri
Entrambi hanno riportato contusioni lievi, uno è portato in ospedale non in gravi condizioni.
Sono almeno 10 i manifestanti fermati e portati in Questura per l’identificazione.
Sarebbero tutti italiani e appartenenti a gruppi Ultras. Come annunciato dai manifestanti, emuli di quanti la notte scorsa hanno scatenato la guerriglia urbana a Napoli, la protesta contro il coprifuoco imposto nel tentativo di scongiurare l’epidemia da coronavirus ha preso tra sabato e domenica la piega peggiore.
Gli agenti del Reparto Mobile hanno caricato in piazza del Popolo.
Il corteo ha poi continuato a muoversi in direzione del lungotevere verso Palazzo Marina. Distrutte macchine e cassonetti.
Il corteo anti-coprifuoco, annunciato con un tam tam sui social già nella giornata di sabato, si è sciolto a notte fonda domenica e la situazione è tornata ora alla normalità.
La protesta
Laura e Sara, niente a che fare con Forza Nuova, guai a chiamarle negazioniste.
C’erano anche loro al presidio contro il lockdown organizzato dall’estrema destra. I manifestanti di Forza Nuova alla loro destra verso l’obelisco.
I poliziotti, verso l’ingresso di via del Corso, alla loro sinistra. E in mezzo a piazza del Popolo loro due hanno steso un tappetino per terra e hanno iniziato a spiegare la loro storia.
Ecco Laura: «Ho un ristorante in centro, altre sei attività e 90 dipendenti da pagare. Da lunedì non so dove andare a sbattare».
Sara, invece, da un ristorante è «stata licenziata. Devo vivere con mia madre e lo Stato mi ha detto che per me non ci sono aiuti».
Ad ascoltarle una trentina di persone, molti giornalisti. «Siamo qui perché non sapevamo dove andare per farci ascoltare».