Si chiude in bagno e si dà fuoco: infermiera gravissima

Redazione
Si chiude in bagno e si dà fuoco: infermiera gravissima

Si chiude in bagno e si dà fuoco: infermiera gravissima. Dramma a Rovigo, nel quartiere San Pio X della città. Oggi, venerdì 28 maggio, all’alba, una donna di 48 anni si è data fuoco. A tentare il suicidio una mamma di un bambino di 6 anni e di un ragazzo di 16, infermiera e dipendente dell’Ulss di Rovigo.

Tentato suicidio: cosa è successo

Si tratta di un’infermiera che si è chiusa in bagno e si è gettata addosso liquido infiammabile, poi si è data fuoco. A dare l’allarme è stato il marito. Soccorsa, la donna è portata in ospedale in gravi condizioni.

Stabilizzata, sarà portata nel centro grandi ustionati di Padova. Ha bruciature sull’80% del corpo. Non si sa ancora che cosa abbia scatenato il folle gesto, tutti descrivono la famiglia come un nucleo normale, senza problemi.

Sul posto vigili del fuoco, Volanti Upgsp Squadra Mobile e Scientifica.

Crac da 36 milioni nella gestione di un centro commerciale: 9 indagati, 7 arresti

I finanzieri del comando provinciale di Padova, a conclusione di un’articolata indagine delegata dalla Procura della Repubblica di Rovigo hanno dato esecuzione, nelle province di Roma e Brescia, a un’ordinanza nei confronti di nove soggetti.

Sono indagati per i reati di bancarotta fraudolenta societaria, patrimoniale e documentale, per frode fiscale e per plurime condotte di autoriciclaggio, emessa dal Gip Pietro Mondaini, su richiesta del Pm Andrea Bigiarini, titolare delle indagini.

Il provvedimento cautelare è inerente le vicende societarie che hanno coinvolto i gestori di due centri commerciali; uno a Borgo Veneto, nel Padovano, l’altro a Capena, alle porte di Roma.

Custodia cautelare

E’ stata disposta la custodia cautelare nei confronti di sette indagati, sei imprenditori e un direttore di banca, di cui quattro tradotti in carcere e tre sottoposti agli arresti domiciliari, ed è stato posto il divieto di esercizio dell’attività professionale e imprenditoriale nei riguardi degli altri due, specificamente un architetto e un altro lavoratore autonomo.

Sono stati eseguiti, inoltre, i sequestri preventivi di disponibilità finanziarie, ammontanti a oltre 2 milioni di euro, presenti su 63 conti correnti, intestati a tre degli indagati, responsabili, tra l’altro, di reati tributari, e a 7 imprese compiacenti, beneficiarie delle distrazioni operate dalla società padovana fallita.

Le investigazioni, inizialmente svolte dai militari della compagnia di Este sotto la direzione dell’autorità giudiziaria capitolina per le vicende del centro commerciale di Capena, sono avviate, parallelamente, dalla Procura della Repubblica di Rovigo, quando si è rilevato che si era di fronte a un sistematico e rilevante depauperamento dei patrimoni aziendali.

In questo modo, sostiene la Gdf, è causata una serie di fallimenti; l’ultimo dei quali nel centro padovano, con un passivo di oltre 36 milioni di euro. Gli imprenditori coinvolti si sono avvalsi, da un lato, di perizie “gonfiate” e, dall’altro, della collaborazione di un direttore di banca.

La fase romana

Già nella fase “romana” delle indagini, i finanzieri di Este avevano eseguito, nel corso del mese di giugno 2019, tre misure di custodia cautelare in carcere. Nei confronti degli amministratori di fatto e di diritto delle società coinvolte, sottoponendo a vincolo 6,8 milioni di euro circa, frutto di reati fallimentari e di autoriciclaggio.

Nella tranche di indagini coordinata dalla Procura rodigina, inoltre, all’indomani del sequestro di beni per oltre 1 milione di euro dello scorso mese di luglio, sono emersi precisi indizi di colpevolezza nei confronti degli amministratori, dei soggetti compiacenti e dei professionisti che li hanno assistiti.

In particolare, è accertato che l’organizzazione, tutt’altro che fuori dai giochi, era in procinto di acquisire; con le consolidate modalità riscontrate durante le indagini; altri centri commerciali dislocati sull’intero territorio nazionale.

Oltre al pericolo di reiterazione dei reati, l’autorità giudiziaria ha ravvisato anche la sussistenza del rischio d’inquinamento probatorio; essendosi gli indagati prodigati a distruggere varie fonti di prova.

E a falsificare, tra l’altro, i contratti di leasing di alcune autovetture sequestrate, stampandoli proprio in prossimità degli Uffici del Tribunale di Rovigo, organo deputato a pronunciarsi in ordine al mantenimento del vincolo reale.

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