Taglia le orecchie al cane: condannato a 4 mesi di reclusione

Redazione
Taglia le orecchie al cane: condannato a 4 mesi di reclusione

Taglia le orecchie al cane: condannato a 4 mesi di reclusione. Il proprietario di un American Staffordshire è stato condannato a quattro mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali per aver fatto tagliare le orecchie al proprio cane per motivi “estetici”.

La denuncia, fatta dalle guardie zoofile dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) di Roma, è partita a seguito di controlli effettuati durante una manifestazione canina nell’ambito dell’operazione Dirty Beauty.

Al cane, secondo quanto riportato dagli agenti dell’Oipa, in prima linea in tutta Italia nel contrastare queste pratiche crudeli e illegali, erano tagliati i padiglioni auricolari. Per poter far ammettere il cane alla manifestazione era esibito un certificato veterinario che giustificava la mutilazione per motivi di salute dell’animale.

L’indagine

“La nostra indagine di polizia giudiziaria, condotta con la collaborazione carabinieri del Nas di Salerno, ha accertato che il certificato veterinario esibito era falso”, spiega Claudio Locuratolo, coordinatore provinciale delle guardie zoofile Oipa di Roma e provincia.

“I molti controlli delle nostra guardie zoofile a livello nazionale hanno portato a oltre settanta denunce all’autorità giudiziaria, anche nei confronti di veterinari. Questa è soltanto l’ennesima condanna ottenuta, siamo certi che ne arriveranno molte altre”.

“Quella del taglio della coda e delle orecchie dei cani di alcune razze a fini estetici, oltre che dolorosa per l’animale, è una pratica illegale”, ha aggiunto Locuratolo.

Le mutilazioni di coda (caudotomia) e orecchie (conchectomia) configurano il reato di maltrattamento punito dall’art. 544 ter c.p., che prevede fino a 18 mesi di reclusione e una multa fino a 30 mila euro.

Rom sgomberati e portati nel Covid hotel, il Comune dopo la diffida ci ripensa e li trasferisce

Il gruppo di 20 persone, tra cui 15 bambini, è diviso in due gruppi: alloggeranno in altre strutture reperite dal Campidoglio, in attesa di poter ottenere una sistemazione in una casa popolare o in co-housing.

La lite tra Comune e Regione si risolve quindi con l’ente guidato da Virginia Raggi costretto dai fatti a fare marcia indietro e ad ammettere le proprie colpe. Soddisfatto l’assessore regionale Alessio D’Amato.

“Prendo atto della nota della struttura ricettiva Covid che dichiara che ‘non è più presente alcuna persona proveniente dal campo di Castel Romano’ e che ‘la modalità di invio da parte del Comune di Roma non era conforme ai protocolli operativi e che loro erano tratti in errore dalla mail inviata dallo stesso Comune di Roma’”.

D’Amato quindi conclude: “Eravamo dunque nel giusto e se non fossimo intervenuti si sarebbe creata una situazione di difficile gestione; e convivenza con persone positive in quarantena”.

Lite tra regione e comune

Una lite, quella tra regione e comune, in cui si inseriscono le polemiche della Lega che hanno come bersaglio soprattutto la prima cittadina. La consigliera regionale Laura Corrotti.

“L’evoluzione della situazione dello sgombero dei rom di Castel Romano evidenzia come quella di ieri sia solamente una scelta della Raggi; dettata da tempistiche elettorali per poi inserirli, senza avvertire la Regione Lazio e la Asl di competenza, in una struttura nel cuore di Roma.”.

Parla di lite indecorosa il candidato sindaco Carlo Calenda: “Ma parlarsi prima, no? Non è decoroso, in piena pandemia, ‘litigare’ pubblicamente tra Istituzioni su cosa accade nei Covid hotel. Ed è impensabile non sapere con certezza cosa succede o chi c’è all’interno di queste strutture”.

  •  

Redazione

La redazione de L'inserto, articoli su cronaca, economia e gossip

Modifica le impostazioni GPDR