Terreni diventavano del clan, tre arresti. Forestali lavoravano per il boss
Terreni diventavano del clan, tre arresti. Forestali lavoravano per il boss. Un “sistema perverso” che, solo dal 2013 ad oggi, ha consentito al boss di Roccabernarda (Crotone) Antonio Santo Bagnato di accumulare 78 immobili nonostante un reddito familiare molto esiguo.
Scritture private, mai autenticate e mai registrate, ma anche falsi testamenti firmati dai parenti morti delle vittime. L’operazione “Capistranum” è scattata quando i carabinieri hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere al capo cosca (già condannato a 24 anni per mafia) e al figlio Giuseppe.
Ai domiciliari, invece, è finita la moglie di Bagnato, Stefania Aprigliano, mentre gli altri indagati rispondono a piede libero. Si tratta di Giuseppe Bagnato, Domenico Colao, il collaboratore di giustizia Domenico Iaquinta, Domenica Le Rose e Michele Marrazzo.
Su richiesta del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri e dei pm della Dda Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, i militari guidati dal maggiore Gerardo Lardieri hanno sequestrato beni per circa un milione di euro.
Scattati i sigilli
I sigilli, infatti, sono applicati a 104 terreni agricoli, 5 immobili e un veicolo. Era l’impero che il boss Antonio Santo Bagnato era riuscito a creare grazie ai falsi testamenti e tenendo sotto scacco l’intero paesino in provincia di Crotone.
Quello che il gip definisce il “sistema perverso” consisteva nell’occupare i terreni altrui chiudendoli con una recinzione e facendo pascolare il proprio bestiame. Stando alle indagini, se i legittimi proprietari non fossero d’accordo, erano subito “convinti”.
Chi si ribellava o, addirittura, si recava dai carabinieri, era pedinato fino in caserma, si vedeva bruciate le piante di ulivo ed era aggredito fisicamente fino a quando non cedeva ai desiderata del boss.
Boss che, assieme ai suoi familiari, si faceva nominare erede dei beni che appartenevano ad altri. In questo modo riusciva ad acquisire terreni grazie a falsi testamenti olografi.
La violenza di Bagnato
Il titolare di un’azienda agricola e di un allevamento è costretto a piegare la testa davanti al boss che si impossessò pure del suo diritto di fitto dei terreni di proprietà della Chiesa. “Ha subito violenza da parte di Bagnato. Era lui direttamente a riempirlo di legnate”.
A raccontarlo ai magistrati è il collaboratore di giustizia Domenico Iaquinta: “Ho assistito personalmente a scene nelle quali il Bagnato pretendeva la cessione dei terreni”. “Dottò, – sono le parole del pentito, se si metteva una cosa in testa questo Bagnato la faceva a tutti i costi”.
Terreni intestati alla moglie
Gran parte dei terreni estorti dal boss, erano poi intestati alla moglie in modo da scongiurare i sequestri da parte della Dda di Catanzaro. Con l’inchiesta “Capistranum”, i carabinieri sono riusciti a fotografare la “sottomissione degli abitanti” di Roccabernarda costretti a subire le angherie di Antonio Santo Bagnato.
Le donazioni e i testamenti, infine, finivano tutti nello studio sempre dello stesso notaio che non risulta indagato. “Non ricordo di aver mai visto la consegna di documenti alla presenza del notaio. – dice il collaboratore di giustizia.
Bagnato mi diceva che era una persona amica e che faceva tutto quello che gli diceva. Lui conosceva la situazione sottostante agli atti da rogare. Quel che è certo è che si affermava falsamente che i terreni erano usucapiti, mentre in realtà erano sottratti ad altre persone, anche attraverso mezzi estorsivi”.