Valerio Saba si toglie la vita a 28 anni
Il giovane uomo era accusato ingiustamente di essere un pedofilo ed è stato esposto ad una terribile gogna mediatica sui social. Ora quattro persone andranno a processo
Valerio Saba si toglie la vita a 28 anni. Il giovane uomo era accusato ingiustamente di essere un pedofilo ed è stato esposto ad una terribile gogna mediatica sui social. Ora quattro persone andranno a processo.
Valerio Saba aveva soltanto 28 anni quando, in un freddo gennaio del 2023, prese la drammatica decisione di porre fine alla sua vita. Una scelta estrema maturata sotto il peso insostenibile di una vera e propria persecuzione mediatica scatenata dai suoi stessi compaesani attraverso i social network.
Quel 22 gennaio, nella sua casa a Guspini, una piccola cittadina sarda di circa 11.000 abitanti situata nel Medio Campidano, Valerio si impiccò, lasciando dietro di sé solo un biglietto indirizzato alla madre, una struggente testimonianza del suo amore e del suo senso di colpa: “Scusami, ti voglio un mondo di bene.”
Le accuse infondate
La sua tragedia nacque da accuse infondate e crudeli che lo avevano etichettato come pedofilo, un’accusa pesantissima amplificata dalla viralità dei post sui gruppi Facebook del paese. “Cercatelo e mandatelo in galera,“ scrivevano alcuni suoi concittadini, senza mai considerare l’effettiva assenza di prove a suo carico.
Ma la verità, che oggi affiora con forza, era completamente diversa: Valerio non aveva mai compiuto alcun gesto di molestia nei confronti di alcuno. Le infondate accuse iniziarono quando un bambino di soli 7 anni, parte della sua stessa famiglia, raccontò di essere stato avvicinato e molestato da un uomo che avrebbe indicato alla madre associandolo a un modello d‘auto specifico.
Non trovando immediata assistenza presso i carabinieri per denunciare l’accaduto, il padre del bambino scelse di pubblicare un post su un gruppo Facebook locale, sperando forse di accelerare l’individuazione del presunto colpevole.
Poco dopo, una ragazzina di 11 anni si aggiunse alla confusione raccontando un altro episodio: un uomo si sarebbe denudato davanti a lei. Le voci corsero rapide e la comunità si mise in moto in una sorta di caccia al mostro. Sebbene nessun nome fosse inizialmente fatto, l’attenzione si concentrò sul modello d‘auto descritto nei post.
Una spietata gogna virtuale
In tutto il paese c’erano solo due di quei veicoli, e uno apparteneva proprio a Valerio Saba. Senza prove concrete né accuse formali, si scatenò una spietata gogna virtuale: “È un pedofilo”, “arrestatelo”, “fate giustizia,” scrivevano con incuria nei commenti. Il volume delle accuse crebbe rapidamente come un incendio inarrestabile.
Valerio venne presto informato dell’accaduto da un conoscente e questa ignobile crociata lo travolse emotivamente. Uno dei messaggi più agghiaccianti recitava: “Che si ammazzi.” E così fu.
La disperazione prese il sopravvento, annientando ogni resistenza psicologica e portandolo a quel gesto irrevocabile. Tre anni dopo quella tragica giornata che segnerà per sempre il ricordo degli abitanti di Guspini, qualcosa sembra finalmente muoversi in nome della giustizia. Quattro persone sono state rinviate a giudizio con l’accusa di diffamazione e morte come conseguenza di altro delitto.
Il processo prenderà il via tra circa un mese, alimentando le speranze di chi, come la madre di Valerio, cerca ora un po’ di pace e un riconoscimento per il dolore ingiusto inflitto al figlio. “Voglio che una sentenza cancelli il male che gli è stato fatto,” ha dichiarato la donna con dignitosa fermezza.
A fornire la prova decisiva dell’assoluta estraneità di Valerio alle accuse ci ha pensato la sorella Vanessa, supportata dagli esiti delle successive indagini condotte dalle forze dell’ordine.
Il tragico fiasco dell’intera vicenda si è infatti svelato quando le coordinate registrate dal GPS dell’auto di Valerio dimostrarono che lui non si trovava nemmeno nei pressi di Guspini al momento degli episodi denunciati: era altrove, distante dal paese e da ciò che accadeva quel giorno.
Nonostante ciò, riabilitarne l’immagine è stato tutt’altro che facile, come racconta l’avvocato della famiglia, Enrico De Toni. “Siamo stati costretti a perseguire a lungo per ottenere giustizia: le nostre querele per diffamazione sono state inizialmente archiviate,” spiega il legale