Fatture false e impresa “fantasma”: sequestrati beni per 800mila euro

Redazione
Fatture false e impresa “fantasma”: sequestrati beni per 800mila euro

Fatture false e impresa “fantasma”: sequestrati beni per 800mila euro. Sequestro da 800mila euro (tra beni e denaro) operato dalle fiamme gialle a carico dei proprietari di due società del settore edile.

I finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca emesso nell’ambito di una indagine delegata dalla Procura di Palmi per reati fiscali.

Fatture false

Il provvedimento scaturisce da un’articolata attività di indagine condotta dalla Compagnia Palmi sotto il coordinamento del Sostituto procuratore Rocco Cosentino. Le indagini delle fiamme gialle hanno svelato un giro di fatture false.

Fatture emesse da un’impresa cartiera e annotate in contabilità da due società operanti nel settore edile. L’impresa, a fronte delle numerose fatture emesse, in realtà è risultata priva di un’effettiva struttura aziendale idonea a giustificare le operazioni economico-commerciali documentate.

Gli accertamenti hanno testimoniato la totale assenza di personale dipendente, macchinari, impianti e attrezzature, nonché anche di una sede operativa. È stato anche accertato l’occultamento della contabilità della cartiera.

Mirato, evidentemente, ad ostacolare la ricostruzione della frode fiscale e delle connesse responsabilità penali. Nel 2016 e 2017 poi l’impresa ha omesso la presentazione della dichiarazione annuale IVA, risultando quindi evasore totale.

I “sigilli”

Sotto sequestro i conti correnti bancari e beni mobili ed immobili dei responsabili delle tre imprese coinvolte nella frode fiscale.

Cassano, i retroscena dell’inchiesta “Kossa”: sindacati e operai ridotti al silenzio

Sindacalisti e operai dovevano stare muti. I diritti dei lavoratori erano cartastraccia nelle aziende che gravitavano nell’universo economico della famiglia Forastefano. L’unica legge in vigore era quella non scritta.

Ma promulgata all’occorrenza e declamata a voce – con formule più o meno arcaiche – dai diretti interessati. Nelle carte dell’inchiesta denominata “Kossa” ci sono due episodi che raccontano come erano intessute le relazioni sindacali e ricomposte le rivendicazioni dei lavoratori.

L’inchiesta è coordinata dal capo della Procura antimafia Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Alessandro Riello. In un’intercettazione ambientale, Pasquale Forastefano impartisce una serie di regole.

Con un vocabolario forbito e gravido di minacce si rivolge a due operai che non si erano recati al lavoro per protestare contro la mancata corresponsione del salario. È Luca Talarico – secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta – a condurre i due operai al cospetto del reggente del clan.

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