Maura Gancitano: «Chi non si ferma, è perduto».

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Maura Gancitano: «Chi non si ferma, è perduto».

Maura Gancitano: «Chi non si ferma, è perduto». Filosofa, scrittrice, divulgatrice: Maura Gancitano sta rendendo la Filosofia e il pensiero critico qualcosa a cui (quasi) tutti possono avvicinarsi

Che spazio è rimasto per la filosofia nella società di oggi?

«Sebbene gran parte della società in generale pensi che la filosofia sia superflua, con Tlon ci siamo resi conto che le persone di fatto hanno bisogno di stimoli e strumenti filosofici, anche sui social. Oggi la filosofia ci aiuta a confrontarci con temi complessi fra cui la bioetica, le innovazioni tecnologiche, i social network, l’odio e il cambiamento climatico».

La scarsa considerazione che riceve da alcuni può essere condizionata dalla cultura in cui siamo immersi, dominata dalla tecnica e dai dati?

«Negli ultimi anni si è detto più volte che grazie ai dati non abbiamo più bisogno di teorie. Con l’avvento dei big data, in particolare, è nata l’illusione che non ci fosse più bisogno di interpretare, ma così non è e la filosofia dà modo di vedere cose che persone con un’altra formazione non scorgono».

Quali settori professionali chiedono l’aiuto della filosofia?

«A me capita sempre più spesso di parlare con designer, architetti, ingegneri, ma anche con il mondo dell’attivismo. I campi in cui la filosofia può dare un contributo sono molti. Questo perché come disciplina non ha un contenuto, ma è una pratica, uno sguardo».

Tlon ha avviato anche una sorta di scuola di Filosofia: di che cosa si tratta?

«Anche se la chiamiamo scuola, di fatto si tratta di cicli di incontri che si svolgono a Roma e Milano. Oltre a questo, diamo anche degli esercizi da svolgere sui social. Il tutto con l’obbiettivo di recuperare alcuni strumenti della filosofia antica, in particolare quelli connessi alla cura di sé».

Ci fa un esempio?

«Mi viene in mente il diario, compilato seguendo il metodo di Marco Aurelio (imperatore e filosofo romano, ndr). Non si scrive seguendo la giornata dal mattino alla sera, ma al contrario. Si rivela utile per capire quali sono i valori con cui si agisce durante la giornata».

E mettendo in pratica questi esercizi cosa succede?

«Si avvia un processo che ha a che fare con la giusta misura e che conduce a un equilibrio tra vita contemplativa e attiva. Oggi siamo portati a riempire ogni singolo momento della giornata con qualcosa; spesso, inoltre, immaginiamo quello che vorremo fare e poi non lo facciamo mai».

Nostro malgrado, la quarantena imposta dal COVID-19 ci ha mostrato quanto sia difficile fermarsi. Chi è in grado di non fare nulla al giorno d’oggi?

«Abbiamo paura del vuoto e questo lo sottolineava già Seneca nel suo De Brevitate Vitae (La Brevità della Vita). Già i Romani avevano la percezione che il tempo a disposizione fosse sempre troppo poco e che non fosse sufficiente, ad esempio, per riposarsi».

«Questa è un’enorme illusione che, soprattutto oggi che le giornate sono scandite dai social e viviamo in un eterno presente, ci porta a pensare che se ci fermiamo un attimo, saremo dimenticati. Il vero lusso oggi è, invece, riuscire proprio quello di fermarci e selezionare gli stimoli che riceviamo».

Ma perché fermarsi è importante?

«Perché viviamo in una costante apnea che ci porta a pensare che potremo respirare solo quando avremo raggiunto uno specifico obbiettivo. Siamo molto concentrati su progetti a breve termine e il correre senza sosta ci rende schiavi di noi stessi. Fermarsi significa riuscire a fare progetti più ambiziosi che in genere ci costano più energia, ma sono più vicini a ciò che vogliamo fare veramente».

Riprendendo il titolo del libro che ha scritto con Andrea Colamedici, perché le donne dovrebbero sbarazzarsi della bambina che c’è dentro di loro?

«Perché si tratta di uno strumento di controllo. Come donne veniamo cresciute nella convinzione che dobbiamo rispettare un canone e determinati limiti. È invece fondamentale comprendere quale sia la propria strada e costruire il proprio labirinto».

«Anche se la società ci dice che la strada è dritta, tutti abbiamo constatato che nel raggiungere un obbiettivo ci sono crisi, cambi di direzione, percorsi insoliti. Ecco, se una donna intraprende una strada insolita, in genere viene stigmatizzata a livello sociale e definita libertina, stravagante, petulante».

Nell’ambito professionale come si traduce questo consiglio?

«Al di là del gender gap, ci sono una serie di azioni che le donne compiono che limitano la loro creatività. Tendono, ad esempio, a chiedere meno promozioni e quindi a essere demansionate rispetto a ciò che fanno. Leggi anche qui 

«Quando vogliono entrare in maternità abbassano il livello di creatività di ciò che fanno perché sono già dell’idea che dovranno rinunciare al lavoro. C’è inoltre una difficoltà a farsi avanti se non si ha un corpo conforme alle attese della società. Se si è sovrappeso, se non si è bianche, se si hanno delle disabilità, si fa più fatica perché la società ti giudica anche se non te lo dice».

«Questi condizionamenti sono così introiettati dentro la mente delle donne che non è neanche necessario esplicitarli. Tendenzialmente sarà lei a non proporsi, a non farsi avanti. È un enorme problema sociale».

Nelle imprese quindi dovrebbero cambiare molti aspetti.

«È importante cambiare la cultura di impresa. In molte aziende questi discorsi non sono mai stati affrontati nonostante la parità di genere sia il quinto obbiettivo per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Gli uomini spesso non agiscono in cattiva fede. Si comportano seguendo la cultura che hanno ricevuto. Quindi occorre lavorare sulla consapevolezza».

Una consapevolezza che in alcuni Paesi è giunta a un livello migliore di quello italiano.

«Sì. La New York Philharmonic ha avuto solo musicisti uomini fino agli anni ’50. Poi nel giro di pochissimo tempo si è arrivati a un numero simile di donne e uomini. Questo è avvenuto perché sono state introdotte le audizioni cieche».

«Un esempio molto semplice per capire che questi comportamenti non sono messi in atto solo da chi definiremmo maschilista, ma anche da coloro che nei fatti svantaggiano le donne perché hanno uno sguardo modellato dalla cultura in cui sono cresciuti».

Da filosofa quali consigli darebbe a un imprenditore per costruire un mondo del lavoro migliore?

«Innanzitutto dialogare attraverso la comunicazione interna: il buon leader non è colui che dà delle direttive, ma colui che sa ascoltare. Poi c’è l’apprendimento continuo: sia del capitano d’impresa sia di chi collabora con lui. Infine coltivare la capacità di osservazione di ciò che accade nella propria azienda ma anche della direzione in cui sta andando il mondo». Vanity Fair

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