Thyssen, i manager tedeschi chiedono la semilibertà. Famiglie vittime: «L’ennesima pugnalata»
Thyssen, i manager tedeschi chiedono la semilibertà. Famiglie vittime: «L’ennesima pugnalata». L’ex pm Guariniello: «Se dopo più di 10 anni si arriva a una sentenza e la stessa non viene eseguita per i due che hanno responsabilità più elevate, qualcosa non ha funzionato»
Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, i due manager tedeschi condannati in via definitiva nel 2016 per l’incendio della Thyssen in cui morirono sette operai, hanno chiesto a sorpresa di scontare la condanna in regime di semilibertà. Una mossa con la quale sperano di evitare il carcere. A renderlo noto è Rosina Platì, mamma di Giuseppe Demasi, una delle vittime del rogo del 2007. «È una farsa, una barzelletta, quando l’ho saputo mi è preso lo sconforto, ho pianto e sono stata malissimo» dice la donna, che ha scritto al ministro della Giustizia Bonafede. «Attendo una sua telefonata, questa è l’ennesima pugnalata dritta al cuore…». Leggi anche la nostra rassegna stampa
La sentenza
La sentenza della Cassazione risale al 2016, quando Espenhahn e Priegnitz vengono condannati rispettivamente a 9 anni e 8 mesi e a 6 anni e 3 mesi per omicidio colposo con colpa cosciente. La battaglia legale si sposta in Germania, dove avrebbero scontato solo 5 anni (pena massima prevista dalla legislazione tedesca per quel tipo di reato): i due imputati presentano un ricorso per evitare l’esecuzione della condanna chiesta dalla Procura generale di Torino e dal governo italiano. Dopo quattro anni di ricorsi e richieste di archiviazione, a febbraio i giudici tedeschi confermano la condanna e anche l’esecuzione del verdetto. A quel punto avrebbero dovuto aprirsi le porte del carcere. Ma non succede. In compenso arriva ora la richiesta di semilibertà. «Sembra un tentativo estremo per allungare i tempi – commenta Antonio Boccuzzi, ex operaio sopravvissuto al rogo -. Ad avvisarci è stata una giornalista tedesca, ma non capiamo bene come funzioni il meccanismo della giustizia in quel Paese. Le famiglie hanno già contattato il ministro della Giustizia Bonafede, è giusto capire cosa sta succedendo».
La rabbia di Guariniello
«Tra un po’ si impiegheranno più anni per l’esecuzione della pena che per il processo», ha commentato l’ex pubblico ministero Raffaele Guariniello. Che ha poi aggiunto: «Non ho mai amato mandare in galera la gente. Ma se dopo più di dieci anni si arriva a una sentenza, e la stessa viene eseguita soltanto nei confronti di buona parte dei condannati e non per i due che hanno responsabilità più elevate, qualcosa non ha funzionato». Fonte: il corriere